giovedì 18 aprile 2024

RAGE 2 - Deluxe Edition

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 18/04/2024 Qui - Ripetitivo e grezzo questo Rage 2, sequel di Rage, che ricordo poco ma che ritengo migliore. Basato più sulla quantità delle missioni da fare che sulla qualità delle stesse (spesso monotone). Rage 2 è ricco di gran belle sparatorie e armi, ma senza queste sarebbe un'esperienza dimenticabile. Rage 2 è quindi un'esperienza, seppur sorprendentemente soddisfacente per certe caratteristiche, abbastanza modesta, ricca di cliché e poco ispirata che si appoggia su un gunplay spettacolare e delle battaglie infinite che a volte riescono a mantenere la promessa della follia comunicata dagli sviluppatori, ma il suo deludente mondo di gioco non fa altro che sprecarne il potenziale. Se come FPS funziona (quando non ci pensano i problemi tecnici o il basso livello della sfida), è tutto il contorno ad affossarlo, dall'open-world spoglio e fine a se stesso, alla ripetitività di situazioni proposte (e persino assets), alla trama che senza infamia e senza lode ci trascina fino al frettoloso finale. La storia di Rage 2 insomma, non brilla per originalità. Tutto è lineare e ben lontano da quella finezza narrativa di ben simili titoli. Non tutto però è da bocciare: il colpo d'occhio infatti sarà pienamente appagato da scenari post-apocalittici ben delineati, da città decrepite ma convincenti e da un mix assolutamente unico di sabbia, ruggine e colori fluorescenti. Si poteva fare di meglio? Questo è certo: la componente narrativa è scialba, quella tecnica non è certamente allo stato dell'arte e l'end-game deludente. E quindi? Cosa rimane? Beh, in realtà rimane un gunplay divertente, variegato e adrenalinico, un FPS che permette di sfogare e scaricare lo stress senza mettere troppo alla prova. Perfetto per chi non cerca la sfida (almeno non sempre) ma, appunto, solo una buona scusa per sterminare ed uccidere tutto ciò che trova sulla strada. Da consigliare soprattutto se si ha apprezzato il primo, perché non sarà entusiasmante sempre, ma sa essere comunque frenetico ed esaltante, in particolar modo quando spinge l'acceleratore e mostra tutta la sua personalità. Voto: 6,5

Call of the Sea

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 18/04/2024 Qui - Un buon titolo sotto quasi tutti gli aspetti. Siamo di fronte ad una rilettura molto intelligente delle opere di H.P. Lovecraft e di fronte ad una bella avventura grafica vecchio stile. Un puzzle game narrativo molto semplice, una storia d'amore e mistero che, per quanto pregna di riferimenti ad altre opere, è assolutamente godibile fino alle fasi finali di gioco. Call of the Sea è un esperimento interessante ma imperfetto, che denota qualche (legittimo) errore di inesperienza. Al gioco manca infatti solo una maggior cura per i dettagli e anche un po' di coraggio e tempo in più, ed è un vero peccato perché questo avrebbe portato ad un risultato decisamente migliore. L'avventura però, per struttura della storia, dei personaggi e dei dialoghi è degna di nota, rendendo l'esperienza di gioco coinvolgente e interessante, risultando mai banale, con un finale letteralmente nelle nostre mani. Call of the Sea è un buon esordio, il titolo è completamente incentrato sul risolvere gli enigmi e nel mentre esploriamo per trovare la soluzione nella mappa ci saranno disseminate molte lettere che narrano cosa è successo alla spedizione di nostro marito che è arrivato sull'Isola per trovare una cura alla malattia della moglie (la protagonista). Gli enigmi, a parte alcuni, sono abbastanza semplici da capire ma comunque non immediati quindi bisogna starci un po' a riflettere. Un difetto è la lentezza della protagonista, sebbene non sia troppo evidente nella maggior parte del gioco, ci sono momenti in cui devi attraversare aree ampie e farlo lentamente può risultare tedioso in certe parti. In generale comunque il titolo è più che consigliato nonostante qualche difetto. Perché sì, probabilmente non rimarrà fra gli esempi più notevoli del genere, ma bisogna rendere merito al fatto che riesce ad offrire una visione alternativa dell'universo narrativo lovecraftiano, potenzialmente capace di soddisfare (anche) chi non ha voglia di mostri o spaventi. In generale, la sensazione è quella di un'avventura scritta in maniera gradevole e mediamente godibile da giocare, ma non memorabile. Un racconto comunque non banale che lascia buone sensazioni per il futuro dello studio spagnolo, da gustare senza troppe pretese verso un finale piuttosto ispirato. Voto: 7

Ghostwire: Tokyo

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 18/04/2024 Qui - Un action game a tinte horror sicuramente non esente da difetti, il gioco ha decisamente tante (troppe) attività secondarie, il combat system si basa sull'uso di tre poteri (elementali in questo caso) che non cambierà di molto durante tutta l'avventura (però ci si diverte un sacco, soprattutto estirpare l'essenza delle entità maligne dà un buon feedback), e la varietà dei nemici non è altissima, ma sono difetti abbastanza trascurabili se il gioco ti prende bene (e infatti alla fine ho ceduto, nonostante i dubbi iniziali mi sono fatto anche un bel numero di quest secondarie), e il titolo ha davvero moltissimo da offrire, per intrattenerti per tutta la sua durata. Ghostwire: Tokyo rappresenta il biglietto d'ingresso di Tango Gameworks all'interno del contesto degli action open world, in questo caso il mood risulta molto interessante, ovvero quello degli Yokai. Le entità giapponesi, i fantasmi del Sol levante, qui sono descritti in maniera minuziosa (come in parte faceva l'altrettanto bellissimo Nioh). La riproduzione di Tokyo è probabilmente la migliore che ho mai visto in un gioco. Infatti, per merito di un comparto grafico e artistico all'altezza, la capitale nipponica tratteggiata nella produzione Bethesda ammalia e abbaglia, sprizzando folklore da ogni poro. Risulta invece un po' tedioso alla lunga il metodo scelto per "ricaricare" gli attacchi. Dovremo accumulare etere, che si trova uccidendo nemici o rompendo oggetti "posseduti". Troppi a mio parere ne sono necessari per accumulare la quantità utile di magia. A disposizione avremo anche un arco, che risulta però molto lento, più vari talismani dai molteplici effetti. La trama è molto semplice ma riesce a coinvolgere ed incuriosire, nonostante infatti non brilli, riesce a lasciare il segno verso le battute finali. In questo senso, non è un gioco che vuole spaventare, ma soprattutto considerando le fasi finali del plot, non mancheranno momenti toccanti ed altri più inquietanti. Per la città sono disponibili missioni/attività secondarie, alcune ispirate, altre veramente banali e palesemente un riempitivo inutile. A mio parere, invece di farcire la mappa di troppe attività secondarie "allungabrodo" si poteva fare di più dal lato del movimento verticale del personaggio e inserire un parkour un pochino più efficace, visto che spesso ci troveremo a passare per i tetti degli edifici. In breve, il punto forte di questo gioco rimane sicuramente l'ambientazione e l'atmosfera. Il punto debole è averlo riempito di robe superflue e azioni ripetute, anche necessarie per proseguire con la trama, che alla lunga vengono a noia. A parte qualche calo di frame e piccoli bug non ho riscontrato altri problemi durante la mia partita. Shinji Mikami, pur solo in veste di executive producer, fa insomma un altro centro, regalandoci l'ennesimo titolo imperfetto, ma dotato di estremo carattere e carisma, della sua carriera. Voto: 8-

lunedì 18 marzo 2024

Blacksad: Under The Skin

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 18/03/2024 Qui - Efficace ed interessante sono i termini per descrivere Blacksad: Under the Skin. Nonostante il ritmo volutamente lento, la grafica un po' ferma agli inizi anni 2000 e alcune incoerenze stilistiche non proprio fedeli agli anni '50 in chiave noir, il gioco ne esce complessivamente bene. La storia, come tutta la meccanica investigativa, interrogatori compresi, è il punto di forza assoluto. Blacksad: Under the Skin funziona, ed è un solido gioco poliziesco, con la brillante trovata di poter "modellare" il comportamento del protagonista in base alle scelte che verranno compiute durante la storia. Immergersi nell'America pelosa (simil Zootropolis) di Blacksad, accompagnati dalle note jazz e impegnati a ragionare su prove e indizi, è stato molto divertente. I personaggi accattivanti, la storia non banale e i sottotitoli in Italiano (mentre il voice-over rimane in Inglese) contribuiscono a rendere le indagini molto piacevoli. Peccato soltanto per una realizzazione tecnica non all'altezza rispetto al tutto il resto (la longevità sufficiente, quel che basta giusto per finire il gioco), che però non inficia l'esperienza di gioco, un videogioco non perfetto e, per certi versi, anche fin troppo guidato (quick time event poco efficaci). Però la storia raccontata (stimolante e ricca di colpi di scena) è molto interessante e non è facile dipanare la matassa di bugie e inganni legati a quello che in apparenza è solo un suicidio fino a che non si arriva all'inaspettato finale. E a parte qualche problema legato perlopiù al comparto audio, si tratta in conclusione di un titolo apprezzabile per i fan del fumetto (omonimo di cui si basa) o da chi adora questo genere di storie (io infatti ho apprezzato). Un'avventura grafica in terza persona piacevole, ma anche elegante, pregevole e autoriale sotto vari aspetti, un titolo senza troppi giri di parole bello. Gli sviluppatori sono riusciti a trovare un giusto equilibrio tra una narrazione lineare e meccaniche interattive, mettendo il giocatore in condizione non solo di godersi una bella storia, ma anche di sentirsi parte integrante di essa. Voto: 6,5

Assassin's Creed: Syndicate

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 18/03/2024 Qui - Quasi un trauma tornare indietro, ma complice un regalo inaspettato mi sono messo a giocare all'ultimo episodio con la struttura classica, prima del nuovo corso accaduto con Origins. Giocarci dopo infatti non è stato facile, proprio perché le nuove "modifiche" hanno risolto finalmente alcuni problemi, e rivedere gli errori già commessi in Rogue riproposti anche con questo Syndicate, anche in maniera più netta, è stato deludente nonché sfiancante. In primis bisogna tuttavia dire che Syndicate è il classico AC che eccelle nell'ambientazione e pecca in quasi tutto il resto (comprese troppe cose secondarie da fare che danno l'impressione di essere messe lì per allungare inutilmente la durata del gioco), ma rispetto al precedente od ai precedenti, peggiore è sia la trama, sempliciotta e piatta nonché ripetitiva nel corso delle missioni, anche se bella l'idea dei gemelli assassini ma sarebbe stato ancora più bello se le abilità fossero completamente diverse (e se ci fosse stato un qualsivoglia approfondimento), sia il gameplay, bella l'idea del rampino ma i comandi sempre (ancor di più) odiosi, come nel caso di tre pulsanti insieme per una singola azione (e comunque guidar carrozze anche no). Un passo avanti e due passi indietro insomma, per questo nono capitolo ambientato in una splendida Londra vittoriana. Ecco, partendo dal fatto che l'ambientazione mi ispirava e mi è piaciuta tantissimo, bella Londra e con questo gioco un po' me la sono potuto gustare, specialmente è stato bello rivivere questo periodo storico, penso ormai sia questo il senso di un AC, ma per il resto tutto come prima, anzi peggio. Tecnicamente parlando il gioco è ottimo, però nessun guizzo interessante, i difetti cronici raggiungono il loro apice. Tirando le somme il gioco tuttavia non mi è dispiaciuto e sufficientemente divertito, soprattutto da amante della saga, ma la narrazione della trama mi ha deluso molto (la storia non è neanche cosi male, se non fosse che termina con un nulla di fatto), per fortuna dopo è arrivato Origins. Voto: 6

The Evil Within

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 18/03/2024 Qui - E' chiaro che giocare prima il sequel non renda facile questa recensione, anche perché sono passati pure 10 anni dalla sua uscita, ma bisogna farlo ed io innanzitutto vorrei dire che i due capitoli sono abbastanza diversi tra loro, però ugualmente capaci di convincere, divertire ed intrattenere. Tra i due episodi differenti meccaniche e direzioni, la linearità narrativa del secondo si scontra con la complessità di questo primo, la complessità delle meccaniche del secondo si scontra con la semplicità di questo primo, ma alla fine si equilibrano, rendendosi entrambi gran bei giochi. Già perché The Evil Within è un titolo angosciante e sorprendente, un survival horror "vecchia scuola" che spiazza il giocatore e non fa nulla per metterlo a proprio agio. La totale assenza di punti di riferimento restituisce una sensazione di perenne smarrimento, la ruvida rappresentazione di un gameplay orientato alla pura sopravvivenza tiene alti i livelli di adrenalina per tutta la durata dell'avventura e la frastagliata architettura dei livelli contribuisce a rendere ancora più caotico e illogico un canovaccio narrativo che sembra scritto da un branco di scimmie urlatrici sotto effetto di sostanze psicotrope. In questo senso difficile, se non impossibile, non avvertire un retrogusto di già visto o provato in questa avventura nei baratri più profondi della follia. The Evil Within non è un campione di innovazione per propria natura, e difficile è trovare spunti davvero inediti. L'animo old school si fa sentire in scelte spesso opinabili e in situazioni discutibili. Ma a parte ciò, ed a parte che questo gioco trasuda la visione del papà di Resident Evil in tutta la sua laboriosità, The Evil Within riesce a essere uno shooter piuttosto avvincente, nelle sue 20 ore necessarie per portarlo a termine. Rispetto al secondo è più intenso (non mi ha mai stancato riuscendo ad incuriosirmi ora dopo ora), ma anche più impegnativo, forse troppo, soprattutto in certi frangenti (tanto che ho dovuto chiedere aiuto in certi complicati punti), in ogni caso e nel suo complesso un gioco riuscito. Un gioco cupo, esistenziale, efferato nella sua brutalità, che turba e inquieta il giocatore, un gioco grottesco, malato e malefico, un horror senza compromessi che magneticamente non ti lascia. Eppure, nonostante le diverse frecce al suo arco, The Evil Within è lontano dall'essere un titolo impeccabile. Purtroppo il comparto grafico e i tempi di caricamento alle volte eccessivi, e poi la narrazione, forse troppo enigmatica e con una messa in scena che non esalta il dramma interiore dei personaggi come altri esponenti del genere, non fanno volare il gioco dove avrebbe dovuto. The Evil Within non centra totalmente il suo scopo e, pur rivelandosi comunque un titolo di valore, la sensazione generale è quella di essere davanti a un prodotto che poteva essere molto più convincente con maggiore attenzione su tutti gli aspetti critici. Ma a volte ci si può pure accontentare, poiché alcuni momenti memorabili non mancano e l'atmosfera che si respira è di quelle forti che coinvolgono. Voto: 7+

venerdì 29 dicembre 2023

[Games] La mia personale classifica del 2023

Classifica pubblicata su Pietro Saba World il 29/12/2023 Qui - Un peggioramento in termini di qualità e quantità rispetto allo scorso anno, eppure (nuovamente) posso ritenermi soddisfatto di quanto giocato, eppure (nuovamente) nessun titolo sotto la sufficienza. Colpa forse della casualità, in conseguenza delle mie scelte nel giocare questo e quello e non quell'altro (e tutto senza un men che minimo sforzo economico), o della longevità dei codesti titoli opzionati, non lo so, ma qualunque sia stata non importa, conta solo l'essersi divertito, cosa poi accaduta. Alti e bassi certo, ma ennesima buona stagione videoludica, in attesa della prossima che in verità è già cominciata. Puzzle game, avventura e narrativa, strategia e fantasia, azione e adrenalina, tra gdr, rpg, platform e quant'altro, alla fine porta qui, a questa classifica qua.


16. Tutto sommato un buon gioco, ma sarebbe potuto essere molto di più. Il titolo ha dalla sua diversi elementi qualitativamente molto solidi, ma al tempo stesso presenta evidenti lacune che gli impediscono di elevarsi al di sopra della media. Appropriandoci per un attimo di una delle frasi più abusate in ambito scolastico, potremmo dire che il gioco ha del potenziale, ma non si applica. (6)
15. Di giochi di zombie ne ho provati parecchi, e capita spesso che si assomiglino un po' tutti, però non è male. Perché World War Z non è di certo il miglior sparatutto cooperativo di sempre a tema zombie, ma riesce discretamente nel suo intento di divertire senza badare troppo alla forma. (6+)